Gru scalata in Darsena: è partito tutto così

“Avevo visto un mio compagno fare un gesto atletico strano sulla cattedra e ne ero rimasto affascinato. Così mi sono interessato e gli ho chiesto come avesse fatto. E’ partito tutto così”. Tony ha 21 anni ed è il ragazzo che è salito in cima alla gru di banchina. Un video che ha totalizzato migliaia di visualizzazioni in questi giorni ma che risale a questa estate: “Era venuto a trovarmi mio cugino – racconta Tony -, lui ha uno studio fotografico e abbiamo deciso di realizzare questo video utilizzando un drone. Se è la prima volta che ci salgo? Macché…”.

Il sorriso di Tony nasconde l’esperienza del traceur. Così si chiama chi pratica la disciplina del parkour che negli ultimi anni sta spopolando a Ravenna grazie a lui e ai suoi amici che compongono il team Shine : oltre a Tony ci sono Francesco, Sergiu e Tudor. Hanno tra i 21 e i 16 anni e insegnano questo sport ai più piccoli. Dagli otto anni in su, centinaia di bimbi frequentano i corsi dell’associazione sportiva.

Quando Tony e Francesco hanno cominciato era il 2009. In quegli anni è nato il movimento ravennate che ora è una realtà davvero sorprendente. Nel 2012 si sono aggregati Sergiu e Tudor. Si allenavano in zona ospedale, al parco della Pace, nel sottopassaggio di via dei Poggi. All’inizio qualcuno chiamava i carabinieri o i vigili, soprattutto quando si allenavano sui tetti del Santa Maria delle Croci. Poi le istituzioni si sono accorte di loro, li hanno aiutati a creare l’associazione culturale, hanno seguito il loro percorso.

Ma cos’è il Parkour? La storia dice che nasce nelle banlieue parigine – il film culto è Banlieue 13 – negli anni Ottanta. Quello che a prima vista sembra una disciplina spericolata è però, prima di tutto, una ricerca di se stessi. “Alla fine sono quindici/venti movimenti da imparare, ma prima di tutto bisogna conoscere le proprie potenzialità e i propri limiti”. Fisico-tocco-spirito: questa la triade dell’allenamento del traceur. Ed è questo che Shine Parkour insegna ai più piccoli. “I genitori all’inizio sono un po’ preoccupati, poi vedono gli allenamenti e si tranquillizzano”. Uno sport pericoloso? “Quando me lo chiedono – risponde Francesco – rispondo che è più pericoloso il MotoGp eppure ci si fanno meno domande a riguardo”.

Saltare sui tetti, arrampicarsi, correre, oltrepassare i limiti dello spazio urbano. Uno sport postmoderno praticabile ovunque e trova in Darsena il fascino delle origini. L’associazione oggi ha un centinaio di iscritti e per i corsi utilizza tre palestre. Tantissime persone guardano le esibizioni e ora il sogno è avere un luogo attrezzato – come ne esistono in Spagna o in Nord Europa – per la disciplina. Intanto il team continuerà ad usare le strade e i parchi. E le gru. A proposito, com’è il mondo visto da lassù? “Pieno di nidi di piccione…”.